I diritti della lavoratrice dipendente in maternità
A cura di: Redazione
I diritti delle lavoratrici dipendenti in maternità sono importanti e devono essere compresi sia dalle donne incinte che dai datori di lavoro. L’Inps corrisponde un’indennità dell’80% dello stipendio, che deve poi essere integrata dall’azienda a seconda del contratto.
La lavoratrice può richiedere un prolungamento della sua assenza, ma in questo caso l’indennità è del 30%. Un altro diritto dal concepimento fino all’anno del bambino è quello dei riposi giornalieri e delle assenze per visite di controllo e per malattie del figlio.
La lavoratrice dipendente può assentarsi dal lavoro in modo tutelato per effettuare visite mediche durante la gravidanza, per il congedo obbligatorio di maternità, per congedi parentali o astensione facoltativa, per riposi giornalieri per l’allattamento e per assenze dovute a malattie del bambino.
Il congedo obbligatorio di maternità riguarda i due mesi prima della data del parto e i tre mesi successivi. Si tratta, quindi, di cinque mesi in tutto ma la lavoratrice può scegliere di posticipare il congedo e beneficiale della flessibilità del congedo di maternità. Può posticipare massimo di un mese, avendo di conseguenza diritto a quattro mesi dopo il parto.
Il congedo parentale non si può interrompere e quindi la lavoratrice non può scegliere di rientrare a lavoro anticipatamente. Le lavoratrici lo possono fare solo se il neonato è ricoverato e le sue condizioni di salute siano compatibili con la ripresa dell’attività lavorativa.
Il congedo di maternità può essere anticipato ulteriormente oppure posticipato fino a sette mesi dopo il parto, se le condizioni di lavoro o ambientali possono nuocere alla salute della lavoratrice.
Il periodo di maternità è utile al riconoscimento dei contributi figurativi dell’Inps. Maturano, inoltre, le ferie e i ratei aggiuntivi come la tredicesima e la quattordicesima e il periodo di anzianità del servizio.
Una volta terminato il congedo di maternità obbligatoria, i genitori hanno diritto ad un altro periodo di astensione facoltativo, ovvero il congedo parentale, della durata di 10 mesi che vanno ripartiti tra i due genitori nei primi dodici anni di vita del bambino.
Ogni genitore può arrivare al massimo a 6 mesi di congedo e di conseguenza all’altro ne spettano 4.
Il congedo parentale è pagato con un’indennità del 30% della retribuzione fino al sesto anno di età del bambino, nel caso in cui il reddito del genitore sia inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione (507,42 euro mensili). Possono essere retribuiti sei mesi complessivi.
Il congedo parentale viene considerato nel conteggio dell’anzianità di servizio ma non maturano ferie e ratei. Durante questo periodo spettano contributi figurativi sul 100% della retribuzione.
La legge, inoltre, prevede ulteriori astensioni brevi retribuite. In particolar modo durante il periodo della gravidanza esistono dei permessi retribuiti per effettuare esami e controlli. Fino al compimento di un anno di età del bambino, inoltre, la madre lavoratrice ha diritto a due periodi di riposo giornaliero di un’ora ciascuno anche comulabili per l’allattamento. I riposi giornalieri sono completamente coperti da contribuzione figurativa.
La lavoratrice, inoltre, può beneficiare di permessi non retribuiti per malattia del figlio. Le dipendenti possono assentarsi per tutta la durata della malattia del bambino fino al compimento dei tre anni di vita oppure nel limite di cinque giorni lavorativi all’anno per ciascun genitore per figli con un’età compresa tra i 3 e i gli 8 anni di vita.
Fonte:
laleggepertutti.it
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